Francesco ha scoperto di poter essere un calciatore a 16 anni. Perché il limite non era lui, ma i contesti poco inclusivi che in passato non lo avevano saputo accogliere.
Francesco è un ragazzo intelligente, solare, aperto e di gran cuore: le conseguenze della disprassia lo limitano in tante attività e questo lo fa sentire spesso frustrato, sin da quando era piccolo. Le brutte esperienze in contesti sportivi non inclusivi hanno fatto il resto. A 16 anni Francesco pensava categoricamente di non essere in grado di giocare a calcio, ed era sicuro di non poter far parte di nessuna squadra.
“Ha accettato perché ho insistito io” ci racconta la sua tutor Titty “dopo tanti pomeriggi passati da soli col pallone, ha ceduto decretando: lo faccio Titty, ma sarà un fallimento, ci provo solo perché ci credi tu”.Sono passati 2 anni da allora. All’ US Santos 1948, con sua enorme sorpresa, Francesco ha scoperto tante cose: ha scoperto che, da una squadra di coetanei e da un mister che ha anche importanti obiettivi sportivi da raggiungere, è in diritto di aspettarsi rispetto, motivazione, sostegno nei momenti difficili. Che si può sbagliare e riprovarci, anche cento volte, senza essere mai giudicati. Oggi Francesco fa parte di una squadra di diciottenni come lui, si diverte e sta bene con loro, ha fatto i suoi primi goal e ha giocato le sue prime partite.
Questa esperienza non ha cambiato solo il suo approccio allo sport, ha cambiato Francesco come persona: ha fatto crescere la sua autostima, la sua fiducia nelle proprie possibilità, la capacità di mettersi alla prova. Farcela è nelle sue possibilità: prima lo sapevamo solo noi, oggi lo sa anche Francesco.
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